MONI ENVASIS
La Malvasia d’Istria è la più prestigiosa e, certamente, la più intonata allo stile dei bianchi secchi del nostro tempo, tra le numerose che hanno trovato patria nel Mediterraneo fino alle Canarie, nell’Atlantico.
Sì: preferiremmo chiamarla “d’Istria” anziché “istriana”, in quanto ci pare che, così definita, la sua elitaria area di produzione esca maggiormente rafforzata. Noi siamo convinti che il valore intrinseco di un vitigno, come diremo più avanti, sia solo lo strumento per raggiungere il fine, che è la qualità ben definita e non replicabile. Essendo il terroir l’indispensabile involucro che tutto raccoglie. A completare il racconto ci sono il clima e il suolo, che regala il tocco finale.
Sono queste le combinazioni che creano le vere diversità ed identità assieme all’insostituibile “collaborazione” dell’uomo.
Marijan Bubola è professore all’Istituto per l’agricoltura e il turismo di Parenzo, in Istria. È un ricercatore esperto di viticoltura. Con lui abbiamo fatto una lunga conversazione sulla Malvasia istriana tra osservazioni, visione di documenti da lui gentilmente portati e scambio di opinioni, tutti aspetti che ci hanno permesso di ampliare le nostre conoscenze del bianco che rappresenta l’Istria.
“Come prima osservazione”, ci dice il professor Bubola, “possiamo affermare che l’origine della Malvasia istriana non è stata ancora chiarita, seppur considerata una varietà autoctona tipica dell’Istria. L’assunzione di alcuni autori che ipotizzano provenga dalla Grecia si basa principalmente sulla denominazione della varietà che, come sappiamo, ha dato il nome stesso a numerose tipologie di viti tra esse diverse. C’è da aggiungere che parecchi studi di carattere genetico collocano la Malvazija Istriana distante dalle altre Malvasie. Le ricerche storiche dell’Università di Zagabria e della Scuola di Parenzo documentano un’antichissima coltivazione di questa varietà nell’attuale Croazia, tant’è che si potrebbe ipotizzare che essa abbia avuto origine in Dalmazia”. Dal studi fatti fin ora sul DNA, appare chiara la mancanza di parentela della Malvasia istriana con le altre del Mediterraneo. Infatti presenta una relativa vicinanza genetica con la Sultanina, che è lontanissima dalle Malvasie ed è usata nell’analisi statistica dei risultati solo per amplificare le distanze tra i vitigni. Tutte le ricerche condotte in questi ultimi due, tre decenni sui pedigree dei vitigni non hanno mai trovato i parenti della Malvasia istriana. Per cui, al momento, la tesi sostenuta dal professor Bubola è confermata: pur non sapendo con certezza da dove derivi, assomiglia solo a se stessa.
“Le prime tracce storiche sulla comparsa e la coltura della Malvasia in Istria risalgono al Medioevo (Vivoda, 1996, p. 13), mentre le descrizioni concrete delle sue caratteristiche, in particolare del vino, risalgono al 1891, quando alcuni produttori istriani di vino le presentarono a un’esposizione a Zagabria” (Despot., 1976, pp. 106-107). Il professor Bubola ci rivela che “il primo documento certo che parla della Malvasia in Istria (pubblicato sulla rivista Archeografo Triestino nel 1837) è quello del vescovo, sacerdote e studioso di Cittanova Giacomo Filippo Tommasini (Jacobus Philippus Tomasinus) (Padova, 1595 – Venezia, 1655) che fu anche dottore in teologia, scrittore di opere filosofiche, biografie, bibliografie erudite, cataloghi e “tabulas”. “Proveniva da un’antica famiglia nobile ed è importante per l’Istria perché fu vescovo della diocesi di Cittanova per un lungo periodo (1641-1655). Una nota su Malvasia si trova nella sua opera De Commentari storici geografo della Provincia dell’Istria, libri otto (1641). Si tratta di un’opera multidisciplinare che rappresenta anche un contributo alla storia, all’etnologia, all’antropologia, alla sociologia e alla mentalità dei gruppi umani, oltre che un contributo alla conoscenza della società istriana e dell’ambiente naturale dell’epoca. Nel quarto volume della sua opera Commentari, Tommasini elenca 15 varietà istriane, tra cui la Malvasia. “È difficile immaginare”, pensa Marijan Bubola, “che nell’Ottocento le varietà di uva bianca occupassero solo il 10% della superficie viticola totale. Di quel 90% di uve nere, l’80% era costituito da Terrano. Fu solo dopo la Prima Guerra Mondiale che la quantità di varietà bianche crebbe rapidamente, compresa la Malvasia istriana. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la sua quota superava già il 40% della superficie vitata della regione e oggi viene coltivata su poco meno del 60% della superficie vitata totale.” Nel libro Malvasia istriana (Kopar, 2003), l’autore Vido Vivoda cita un documento molto interessante: “Per sostenere e promuovere l’orientamento della viticoltura in relazione alla produzione di vini di alta qualità, il 6 novembre 1931 si tenne a Pola una riunione di esperti in viticoltura e vinificazione, di cui riferisce in breve il prof. Dalmaso: È stato deciso che le varietà bianche avranno il vantaggio assoluto per la produzione di vini premium e di lusso. La Malvasia istriana sarà sicuramente la più diffusa perché produce vini davvero riconoscibili… dato che le condizioni dell’ambiente naturale dell’Istria favoriscono una produzione di qualità. ” La prima descrizione ampelografica fu pubblicata da Libutti nel 1913 nella rivista L’Istria Agricola. Periodico quindicinale dell’organo dell’Istituto agrario, del Consiglio agrario e della commissione d’imboschimento , con il titolo ” L ‘Istria Agricola. Periodico quindicinale dell’Istituto agrario, del Consiglio agrario e della Commissione d’imboschimento), con il nome di “Malvasia bianca”, che corrisponde appunto alla Malvasia istriana.
“Quando si parla di alcune varietà autoctone di vite coltivate in Istria” la Malvasia locale viene ancora definita come Malvasia bianca che, oltre a differenziarsi dalla Malvasia nera per il colore del frutto, rappresenta – più che una varietà – una tribù di vitigni che di solito si differenziano tra loro per il nome dei diversi paesi in cui vengono coltivati.
Esistono quindi: Malvasia di Toscana, del Piemonte, di Candia, di Lipari e altre ancora.
È probabile, continua la nota, “che le Malvasie bianche coltivate nella nostra regione fin dall’antichità non siano altro che diverse sottovarietà della stessa varietà e che di conseguenza presentino caratteristiche diverse”.
Il L’Archeografo Triestino. Raccolta di opuscoli e notizie per Trieste , volume IV del diario, del 1837 scrive: “per quanto riguarda la varietà di uva, qui si piantano tre varietà di uva bassa; una è chiamata pelosa (pelosa). Gli abitanti di Pirano la chiamano calcionesa. La seconda, sebbene sia una varietà bianca, si chiama Ribolla e la terza bianca, Pirella. Tra le viti alte, si stima che la principale varietà nera sia il Refosco, noto anche come Terran Grande. Tra i bianchi, Cividin spicca, con un’uva più piccola, e Tribiano, anche se ci sono molte altre varietà come il Moscato, oggi molto diffuso, e Malvasia Imperatoria, con acini grandi e lunghi, e altre ancora”. Citazioni molto interessanti provengono da un testo pubblicato nella regione Friuli-Venezia-Giulia da Enos Costantini, Claudio Mattaloni e Carlo Petrussi, che nella loro magnifica opera La vite nella storia e nella cultura del Friuli (Forum , 2007) scrivono: “Già dalla lettura degli statuti della regione Friuli, che le nostre città e i nostri paesi scrissero per sé stessi per regolare la vita civile (tra il 1400 e il 1500), si evince che il vino Malvasia è sempre stato straniero, quindi l’esatto contrario dei vini che vengono definiti come Terrani“. A ulteriore conferma dell’importanza e del valore di questo vino, Costantini e i suoi colleghi fanno notare che “esaminando il volume VI degli Annali di Di Manzano per il periodo che va dal 1388 al 1420, hanno scoperto che il vino Malvasia viene citato 26 volte, quasi sempre come dono ai potenti o ai loro inviati. Un confronto numerico con altri vini locali (della regione Friuli, nota dell’autore) non sarà inutile: Il vino Rabiola (o nomi simili) è citato 8 volte, il Romania tre volte, il Pignolo due volte. Il Terrano, o vino di produzione locale, compare tredici volte. Il valore monetario del Terrano è 3 volte inferiore a quello della Malvasia”. Tuttavia, questi vini (Malvasia) si diffusero a tal punto che già nel XVII secolo iniziò l’usanza di chiamare Malvasia la località in cui si vendevano i vini importati dall’est o, come venivano anche chiamati, “vini greci”. Ancora, il famoso enologo Giovanni Dalmasso, nell’introduzione al libro Malvasie, pubblicato quasi 50 anni fa sulla rivista di viticoltura ed enologia ( Rivista di viticoltura e di enologia), scriveva: “Se dovessimo elencare tutti i vitigni che, più o meno legittimamente, portano il nome Malvasia e nel processo cercassimo di determinare quali hanno il diritto di mantenere questo nome e quali no, dovremmo riempire diverse pagine, senza speranza di successo”. Tutto ciò porta a pensare che possa essere adattato alla maggior parte delle regioni vitivinicole europee, ad eccezione della Francia, che ha una sua storia e che è servita da esempio per tutti noi. La crescita verticale della qualità del vino che vediamo in Istria è anche il risultato di una convergenza favorevole di vari fattori. In primo luogo, una migliore condizione economica generale della popolazione, che ha registrato un netto miglioramento all’inizio degli anni ’90, e decisioni politiche economiche e sociali permanenti. Grazie ai tecnici che hanno completato le scuole professionali e allo scambio internazionale di nuove tecniche di vinificazione, segue una migliore conoscenza della viticoltura e della vinificazione. Infine, la nascita di una nuova borghesia del vino che ha deciso di introdurre innovazioni dettagliate a livello agronomico, enologico e di mercato per modernizzare il settore vinicolo. I privati hanno accettato il rischio di avviare questa rivoluzione socio-economica che ha trasformato centinaia di agricoltori in imprenditori di successo le cui etichette si trovano oggi sulle tavole dei migliori ristoranti, non solo in Croazia. È accaduto anche, sebbene non nello stesso periodo, in Italia, Svizzera, Austria, Spagna e Portogallo. – La rinascita istriana ha preso forma all’inizio degli anni ’90 grazie a un piccolo gruppo di viticoltori che hanno riscoperto la Malvasia e la sua storia e hanno saputo darle, perché lo volevano, un’identità e unicità – interpretandola secondo lo stile del nostro tempo. Pur essendo competitivi sul mercato, nel 1994 i produttori di vino istriani si sono uniti per fondare Vinistra, l’Associazione dei Viticoltori e delle Viticoltrici dell’Istria, con l’obiettivo di promuovere la Malvasia istriana nel mondo insieme alla regione. I produttori sono sempre stati quelli che hanno capito l’importanza di investire nelle cantine, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche come luoghi pensati per essere visitati, dando il via al turismo del vino che, allargandosi ad alberghi e ristoranti, riempie così bene le casse locali. Un gruppo di visionari, che si raccontano nella parte finale del libro, ha incoraggiato la ricerca dei vini migliori, trasformando l’ambiente dei vigneti, che non si basa più sulla quantità, ma sulla qualità per la realizzazione di un progetto enologico superiore. È grazie a loro che oggi la Malvasia istriana ha trovato il suo posto tra i migliori vini bianchi europei. Perché la storia, il passato e la tradizione acquistano valore solo quando ci sono imprenditori che sanno innanzitutto comprenderli, apprezzarli e infine migliorarli. Le componenti che compongono il terroir esistono da sempre, anche se nessuno le ha notate e nessuno si è reso conto che dovevano essere portate alla luce. Un fatto è certo: La Malvasia rimane l’unico vino della storia ad essere stato al centro del commercio e della produzione vinicola per più di quattro secoli, ovvero almeno fino al 1669, quando l’espansione ottomana nel Mediterraneo sottrasse ai veneziani l’isola di Creta (Candia) e con essa gran parte della produzione di Malvasia. Qual è il motivo di questo successo? Dove inizia questa affascinante storia che l’ha portata a diventare il primo marchio di vino al mondo, anticipando di secoli le strategie di marketing del nostro tempo? Come possiamo spiegare che la Malvasia è diventata uno status symbol del vino grazie all’intuizione dei pionieri dell’epoca? In fondo, la Malvasia è un vino o una varietà? Tutte domande a cui vogliamo rispondere con questo testo, reso possibile dall’impegno di un’azienda istriana con sede nel comune di Bale – Meneghetti di Miroslav Plišo, oggi parte della Meneghetti Winery e Relais Chateaux – che voleva che la Malvasia diventasse uno dei simboli della propria produzione di alta qualità.